Apokalypsis pour homme [3]

Parti precedenti: [1] e [2].

[i due guerrieri si affrontano impugnando ciascuno una pistola; dopo essersi collocati schiena contro schiena muovono dieci passi in direzione opposta, quindi si girano e stanno per sparare quando…]

Perelman [terrorizzato]: Vi supplico, ho affermato che cederò il passo e credo a un gentiluomo questa soddisfazione possa bastare. Non irridetemi oltre perché non otterrete di umiliarmi ma di diffondere il terrore in ogni fibra del mio essere. Il mio comportamento di fronte al nemico e il valore dimostrato in ogni occasione, senza esitare e mai dubitare, non meritano questo disprezzo. La vostra bocca ha detto che pure voi mi conoscete, fate non sia una crudele burla…
Olbrecht-Tyteca: Non lo è. Io pure rammento il vostro volto e quanto osservo e ascolto mi riporta a una giornata simile a questa, dove due gentiluomini si sfidarono per una futile questione e l’esito fu nefasto per uno di loro. Inizialmente ero incerto, ora, come voi, ricordo ogni dettaglio. Mi avete già incontrato, mi avete già sfidato, forse già mi avete ucciso. Tuttavia non intendo ritrarmi e ciò che va fatto io farò, e voi con me. Non vi lascerò andar via e non potrete cedermi il passo, piuttosto mi affronterete e vedremo questa volta – se un’altra c’è stata – chi prevarrà. 
Perelman: Comprendo tutto ora. Non può esserci altra spiegazione. Nessuna follia, nessun inganno. Questo è l’inferno, e per i nostri delitti siamo condannati ad abitarlo. Il nostro supplizio sia ripetere un crimine che in vita perpetrammo una volta, infinite altre. Mi spetta uccidervi e a voi soccombere, a entrambi duellare prima dell’esito. Forse non è il crimine più empio della nostra scellerata esistenza, ma solo quello più rappresentativo. Comunque quello che l’autorità che presiede al nostro destino ha scelto quale emblema. Qui non altro tempo esiste all’infuori del nostro incontro, del duello e del fragore degli spari. Qui ogni angolo della città non esiste che per assecondare questa rappresentazione. Neppure questo: di tutta la città in cui ci affrontammo non esiste che questa piazza quale perenne teatro di una condanna [ride senza controllarsi e abbassa l’arma che puntava contro l’avversario]. Quale sublime ironia, quale grottesca circostanza: due uomini che si insultano, si affrontano e si uccidono perché nessuno di loro intende cedere il passo nel mezzo di una piazza dove un battaglione di cavalleria troverebbe spazio bastante per una parata d’onore [ride come un folle, poi si placa e torna a puntare l’a pistola contro l’avversario]. L’istante dopo avervi ucciso voi riprenderete a camminare nella mia direzione e io nella vostra, per incontrarci ancora e perpetrare l’insensato atto che ci ha condotto sin qui. Ancora e ancora e ancora, senza che ciò abbia mai fine. L’inferno dunque. Il nostro immutabile inferno.
Olbrecht-Tyteca [prende in ostaggio uno spettatore, quindi adirato]: Chi può concepire un inferno così crudele da nascondere a quanti lo abitano il suo aspetto per impedire loro di riconoscerlo e di assumere nella rassegnazione il proprio ruolo di dannati? Se di inferno si tratta io pretendo che l’inferno si riveli e che un demonio appaia su quella scalinata con uno spiedo in mano pronto a pungolarci le natiche con esso, ma nel contempo sia posta fine a questa inquietudine e a questa incertezza senza soluzione. [morboso] No. Rifiuto di arrendermi a queste irrazionali argomentazioni. Io non credo nell’inferno. Non credo in alcun inferno che non abbia contribuito io stesso a creare. [appare fuori di sé e il suo sguardo percorre scenari irreali] Credo piuttosto nella forza delle mie braccia, nella durezza dei miei denti, nella mia capacità di tenere la schiena inarcata e di vibrare colpi senza sosta nel fulcro della battaglia, quando le membra dei nemici e dei fratelli saltano via ovunque e oscurano il cielo prima di cadere a terra per impregnarla di sangue e bile. [torna a guardare l’interlocutore e stringe a sé con veemenza l’ostaggio] Credo piuttosto nella possibilità che voi, pavido e prossimo alla sconfitta, abbiate attinto alle vostre capacità di suggestione per farmi vacillare e infine arrendere. Ho udito parlare dei trucchi che i seguaci di quel Mesmer mettono in atto a Marienbad per intrattenere le fanciulle della nobiltà, inducendole a comportarsi come gatti miagolanti o ridicole galline, pronunciando versi inumani mentre spettatori effemminati tributano loro grottesche risme di applausi. Purtroppo per voi non sono una suggestionabile donnetta e ho visto cumuli di cadaveri nelle sei battaglie del Protettorato e di molti di loro sono responsabile. Ho ripreso il dominio sulla mia mente e ora non vi darò sollievo e scampo alcuno. Il vostro gioco è rivelato, ingannatore.
Perelman: [pacato e rassegnato] Non ci sarebbe sollievo più grande per me se le cose stessero come le descrivete e il fragore degli spari coprisse lo stridio delle parole e il sibilo dei pensieri. Purtroppo non mi sono mai occupato di mesmerismo o prodigi simili, poiché il mio destino mi ha piuttosto riservato la guida di eserciti vittoriosi. Disperda ogni vostro dubbio la risposta a una nuova domanda.
Olbrecht-Tyteca [urlando]: Non mi ingannerete oltre.
Perelman: Non proferirò verbo dopo di ciò e serrerò i denti nel disprezzo per voi e nella tenacia del combattimento. Consentitemi solo questo.
Olbrecht-Tyteca: E sia, poi morrete.
Perelman: Avete visto altri qui, all’infuori di noi?

Fanciulla dichiarante guerra: Ma che palle tutto sto tergiversare. Ti scanno io. No scannami tu. Non c’è il pubblico allora mi scoccia scannarti se non ci vede nessuno. Il pubblico c’è se guardi bene. Il pubblico c’è sempre quando lo show è decente. E quando non esce di casa gli tiri un missilino sulla casa così si decide e viene a vedere lo spettacolo. E con la casa ridotta in macerie rimane a vederlo sino alla fine senza protestare che in teatro c’è un bel caldo mentre seduto sulle macerie, specie d’inverno o se piove, fa freddo. Piccoli accorgimenti che facilitano non poco e fanno funzionare lo spettacolo. Quando lo spettacolo funziona la gente poi torna. Il terzo re gli spettacoli li sa fare, belli e con tanto pubblico. Lo conferma la stampa internazionale. Il missilino lui non ce l’ha ma ha una bomba che si chiama “ragazzino” e fa tanto tanto rumore quando cade. Per cui il marketing all’evento non si può non dire riesca bene. È un re che ci sa fare anche con le parole. Prendete questo articolo del 7 dicembre 1941: “…gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente ed intenzionalmente attaccati dalle forze aeree e navali dell’Impero del Giappone. L’attacco di ieri alle Isole Hawaii [appallottola una pagina di giornale e la tira] ha arrecato un grave danno alle forze militari e navali americane. Un numero ingente di vite americane sono state perse. È stato inoltre comunicato che le navi americane sono state attaccate con siluri in alto mare tra San Francisco e Honolulu [una seconda palla di carta viene scagliata]. Ieri il governo Giapponese ha attaccato anche Malaya [una terza]. Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato Hong Kong [una quarta]. Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato Guam [una quinta]. Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato le Filippine [una sesta]. Ieri notte le forze giapponesi hanno attaccato l’Isola di Wake [una settima]. Questa mattina, finalmente, i giapponesi hanno attaccato l’Isola di Midway [un’ottava]. Pertanto, il Giappone ha intrapreso un’offensiva a sorpresa estesa a tutta l’area del Pacifico.
Un leader con gli attributi nel numero e delle dimensioni che contraddistinguono gli attributi di un vero leader  a questo punto che fa? Si altera. Si adira. Si incazza. E mentre accorda “fiducia alle nostre forze armate”, fa appello alla “sconfinata determinazione del nostro popolo”, certo di raggiungere “l’inevitabile vittoria, in nome di Dio”, chiede “che il Congresso dichiari lo stato di guerra tra gli Stati Uniti e l’Impero giapponese, a seguito dell’attacco non provocato e codardo del Giappone di domenica 7 dicembre 1941.” Nel frattempo fa preparare la bomba che si diceva, quella chiamata “ragazzino”. Uno scherzetto da 13 kilotoni per i gialli irrispettosi che di certo toglierà loro la voglia.

[citazioni dal “discorso dell’infamia” di Roosevelt – 8 dicembre 1941]

Continua…

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