Apokalypsis pour homme [2]

La prima parte è qui.

[i due militari si fronteggiano impugnando una spada; accennano ad iniziare il duello ma Perelman, dopo avere indugiato, si ritrae]

Perelman: Perdonatemi se esito un istante prima di punire la vostra arroganza, ma debbo prima mettervi a parte di un fatto curioso. Ora che la luce rivela i vostri tratti la sensazione di familiarità si accresce. Non solo il vostro nome mi è noto, ma ora che posso guardarvi bene comprendo di conoscervi di già.
Olbrecht-Tyteca: Bizzarra strategia per evitare il confronto. Per quanto intendete ancora comportarvi da vigliacco?
Perelman: Signore, se tutti gli uomini che ho ucciso in battaglia e – da quando l’Imperatore predilige le cautele diplomatiche – in duello, fossero condotti in piazza Heydrich, un temporale non riuscirebbe a bagnarne il suolo neppure con una goccia, quindi smettete di offendermi che la mia spada non ama affatto attendere, è solo la mia curiosità a fermarmi poiché la memoria non mi soccorre.
Olbrecht-Tyteca: Mi sembra sia il coraggio a farvi difetto piuttosto che la memoria. E il vostro pallore come il sudore sulla vostra fronte paiono sostenermi.
Perelman [esitante e confuso]: Eppure sono certo di avervi già incontrato… Di più: credo di avere già incrociato le lame con qualcuno che vi somigliava e portava – disonorandolo di certo – il vostro nome. [esita, sembra riflettere, improvvisamente ma con tono appena udibile] È già accaduto…
Olbrecht-Tyteca: Non vi ho udito.
Perelman: Dio mi assista, un duello identico a questo è già avvenuto ed io ho già ucciso qualcuno col vostro volto. [turbato] Come può essere possibile?
Olbrecht-Tyteca: Suvvia animo, non è degno di un cavaliere abbandonarsi all’isteria senza opporvisi.
Perelman: [come per scacciare l’idea dalla mente] No, di certo no… Forse era qualcuno che vi somigliava semplicemente. Ditemi: un fratello o un vostro consanguineo è morto in duello?
Olbrecht-Tyteca [ironico]: Io non ho fratelli, e un volto come il mio non accade di incontrarlo sovente, dovrete ammetterlo. Se non ne convenite interrogate le dame della nostra corte che non paiono disdegnarlo affatto. Ammesso naturalmente che i servi o i cani non vi caccino via prima di arrivare al loro cospetto.
Perelman: Non è possibile, la somiglianza è straordinaria. Come posso confondermi?
Olbrecht-Tyteca: Esito a confrontarmi con un uomo nelle vostre condizioni, quindi cercate di riprendervi prima che io sollevi ancora la punta della spada. Riflettete un istante: io sono vivo e intendo rimanerlo a lungo, voi pure, ma nel vostro caso la circostanza non è destinata a perpetrarsi. Forse in passato avete ucciso un tale – probabilmente ubriaco al punto da non riuscire a reggere un’arma – che mi era in qualche misura somigliante pur non potendo esibire la fierezza dei miei tratti. Il ragionamento ci porta a considerare la possibilità di una coincidenza, infine ad accettarla. Assunto ciò cessate di tormentarvi, ponetevi in guardia e combattete.
Perelman: Avete ragione, non posso essere che pazzo per dire ciò, e soprattutto per crederlo… Ma come può, allora, questa sensazione non darmi pace e la ragionevolezza delle vostre considerazioni non attenuare di un’inezia la sua veemenza? Se la memoria mi sostenesse sino in fondo invece di celare dettagli e circostanze come per burlarsi di me… Io vi ho già veduto. Io vi ho già incontrato, e giurerei sulla mia stirpe che sia accaduto in un giorno come questo, in un luogo identico a quello in cui perseveriamo nell’offenderci e che ogni nostra parola sia già stata detta oggi e qui.
Olbrecht-Tyteca [sarcastico]: Dio mi perdoni, sto per uccidere un folle. D’altra parte chiunque mi sfidi lo è, quindi Dio non ne terrà conto come al solito.
Perelman: Sono io a invocare Dio, perché via via che le vostre parole vengono pronunciate io sono ancora più certo di averle già udite. Di ogni vostro irritante gesto conosco la linea, di ogni vostra irriverente espressione mi è noto il disegno, di ogni vostro sprezzante pronunciamento presagisco il suono. Ebbene sì, il ricordare diviene in questo istante prevedere: ricordo quanto è accaduto, lo vedo accadere innanzi a me e so che accadrà ancora. So che voi mi ferirete al capo e il sangue coprirà il mio occhio sinistro. Ciò non sarà sufficiente a vincermi, poiché poco innanzi l’ora quarta voi cadrete, mostrandomi la schiena ed io ne trarrò profitto uccidendovi. Ascoltatemi: questo è già accaduto ed io lo ricordo in ogni dettaglio.
Olbrecht-Tyteca: Non intendo ascoltare altre scempiaggini. Sollevate la spada.
Perelman: No. Dovete aiutarmi a risolvere questo enigma. Non comprendete che apparteniamo a un disegno inesplicabile e questa mia reminiscenza apre una breccia nel suo mistero?
Olbrecht-Tyteca [grida accennando ad avventarsi verso l’avversario]: Impugnate la spada!
Perelman [concitato e confabulatorio]: Datemi solo un istante per riflettere. Supponiamo che la mia sensazione abbia un fondamento e io non sia folle. Se io vi avessi già ucciso, perché mi troverei qui a ripetere quell’atto? Si potrebbe trattare forse di una burla del tempo o di un suo errore, come se il tempo stesso avesse dimenticato di cancellare un brandello di passato ed esso, scampato all’oblio, si riappropriasse dell’attualità senza tuttavia averne diritto.
Olbrecht-Tyteca: Che fantasiosa congettura! Signore mio: o siete folle o vi si può chiamare pavido, non esistono altre possibilità e, se quanto avete detto sui duelli e le battaglie affrontati vittoriosamente è vero, temo debba disperare per la vostra saviezza.
Perelman: Io folle… Io che la ragione ho innalzato a vessillo, tacciato di averla smarrita. Io che ho innovato la strategia militare sino al punto di renderla una scienza, infangato da ripugnanti allusioni al vacillare del mio senno. Quale oltraggio. [tono dimesso] Eppure se scorgessi una possibilità di confutazione non esiterei a proporvela e subito dopo vi trafiggerei con la mia spada, ma qui e ora non mi è dato trovarne.
Olbrecht-Tyteca: Ora, amico mio infinitamente devoto, la pazienza è terminata. Difendetevi o vi trafiggerò come un manigoldo sorpreso con le tasche ricolme di argenti trafugati nottetempo.
Perelman: Sarò da voi se accetterete di rispondere a una domanda. Una risposta affermativa affinché io ponga da parte ogni sciocca fantasia. Ditemi che siete certo di non avermi mai veduto prima e io combatterò. Di più: rinuncerò a contendervi il cammino e non pronuncerò altro verbo. Ditemi dunque che non mi conoscete.
[silenzio]
Olbrecht-Tyteca: Ebbene, non posso farlo [si gira voltando le spalle all’avversario].

Fanciulla dichiarante guerra: [mentre i duellanti si preparano al combattimento spogliandosi delle casacche, togliendosi i cappelli e rimboccandosi le maniche delle camicie, estraendo le spade e saggiandone il potere offensivo, le soppesano, ne seguono il filo con un dito, curano meticolosamente l’atto di impugnarle, le fanno roteare, simulano affondi; la domestica pettina i suoi capelli in più momenti suscitando reazioni violente]:

Il giocattolo è mio, no è mio, no è mio. Carini, dolci, eleganti. Che il deja-vu del colonnello abbia qualche significato o gli abbia dato di volta il cervello ci importa poco. È comunque uno spasso vederli zampettare come tacchinelle sbattute vive sulla griglia del barbecue. Tutto sommato nella mitologia che preferiamo al tempo piace parecchio muoversi in cerchio e trottolare facendoci tutti citrulli, ubriachi molesti, capogiranti. Invece i re dell’Apocalisse (tutta un’altra mitologia), sono fottuti alla fine, una volta sola e definitivamente. Lì il tempo va dritto come un Intercity (tedesco, mica Trenitalia) verso l’Armageddon dove i 5 re fanno la fine che fanno e non c’è trippa che rinascano tornando a fare i propri comodi in barba a chicchessia. Comunque, così come si apprezzava l’eleganza delle nostre tacchinelle anche al secondo re dell’Apocalisse piace essere elegante e tirarsela di brutto quando si affaccia dal balcone proiettando i bottoni piantati sulla trippa verso le teste di un casino di babbei giù di sotto adunati oceanici, adoranti e plaudenti. Non solo. Gli piacciono i tessuti morbidi. Difficili da trovare morbidi il giusto. Al punto di far squartare le pecore gravide per farsi confezionare la divisa con la lana dei feti di pecora freschi freschi. O si dovrebbe dire caldi caldi? Avvolto così nella stoffa morbidona ma virile di lana di feto giovanile si affaccia alla finestra e chiama i “combattenti di terra, di mare e dell’aria”. E tutti si guardano in giro chiedendosi di chi stia parlando. Poi lo capiscono perché lo spiega. Parla delle “camicie nere della rivoluzione e delle legioni, degli uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania”. Ecco.
Secondo lui “un’ora segnata dal destino starebbe battendo nel cielo della nostra patria”. E poiché la sfiga, pur avendo un limite inferiore non ne ha di certo uno superiore, “è l’ora delle decisioni irrevocabili e la dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia” che non aspettavano altro. L’intenzione è quella di “scendere in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie (qualunque cosa significhi) dell’Occidente che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano”. Bella stella.
Qualunque sostanza psicoattiva stia dietro questa escalation retorica ci troviamo davanti alla “lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto, è la lotta tra due secoli e due idee”. Fosse farina del suo sacco tutto bene. Invece salta fuori il primo re. È lui l’amico che quando lo si ha, “si marcia con lui sino in fondo”.
Non ride nessuno quando conclude dicendo che “la parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti”. Che essa “già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano”. Che la parola è “vincere”. Non ride nessuno ma a furia di trattenersi a quasi tutti salta fuori un’ernia.

[citazioni dalla dichiarazione di Guerra di Mussolini – Roma, 10 Giugno 1940]

Continua…

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